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Posts written by norge

view post Posted: 22/3/2018, 08:19 Un libro a settimana - Cultura
CITAZIONE
"Alice"...in verità non mi era mai venuto in mente di leggerlo.

E' ben lontano dal tenore dei libri che leggi, ma un'avventura psichedelica come quella di Alice ti toglierebbe un po' di muffa :P
view post Posted: 20/3/2018, 16:16 Un libro a settimana - Cultura
Alcuni dei titoli che ho letto ultimamente:
“il centenario che saltò dalla finestra e scomparve”
(mi pare l’avesse consigliato Easy…): non amo i libri con troppe pagine, la discriminante di un buon libro ritengo che risieda nella misura delle parole, ma questo l’ho letteralmente divorato: lettura scorrevole, divertente, con spunti comici, che immerge in una intricata e sorprendente trama. E’ una lettura molto leggera che fa passare delle piacevoli ore di lettura.
“Di tutte le ricchezze”
Amo Stefano Benni, e questo libro non ha deluso. Narra della quotidianità di un anziano professore che, disincantato dalla vita, ritrova suo malgrado pulsioni che voleva e credeva aver dimenticato; perno della narrazione è la contrapposizione della mesta ma preziosa serenità di cui si è circondato e la vita che continuamente lo tenta e lo seduce.
“Alice nel paese delle meraviglie”
Universalmente noto per film e cartoni animati, merita di essere letto nella versione integrale. Nonostante l’apparente leggerezza è un testo che nasconde una sorprendente struttura intessuta di riferimenti ben nascosti, giochi di parole, matematica e paradossi. Purtroppo tale struttura mal si presta ad ssere tradotta in altre lingue (l’opera originale è in inglese) e inevitabilmente gran parte delle suggestioni vengono perse nelle edizioni tradotte. E’ certamente un libro che, data l’epoca in cui fu scritto, potè definirsi rivoluzionario.
view post Posted: 13/3/2018, 16:10 Tuning meccanico - Accessori e Personalizzazioni
Ciao Bad000.
Sei nuovo del forum, quindi ti informo che qui siamo abbastanza "bacchettoni" e non diamo spazio alle discussioni sulle modifiche dei motori (quantomeno quelle non consentite dal codice, quindi pressoché tutte).
Un occhio ogni tanto lo chiudiamo, ma con una premessa come quella che hai presentato devo subito fermarti.
Se qualcuno vorrà scriverti in privato libero di farlo, ma non daremo spazio su questo forum a questo genere di tutorial.
Grazie per la comprensione.
view post Posted: 12/3/2018, 09:39 i nazionalismi europei - Politicamente scorretto
CITAZIONE
il tema di qualsiasi discussione dovrebbe essere quello di distinguere la causa dall'effetto

Una cosa è discutere proponendo argomenti che scaturiscono da proprie riflessioni, che come tali si prestano ad un contraddittorio ed arricchiscono chi li sostiene e chi li contesta in un susseguirsi ordinato e sillogico di ragionamenti concatenati.
Un’altra è battere sulla tastiera facendo i pappagalli di opinioni altrui, di certezze dettate dal “sentire comune”, dietro cui non vi è alcuna costruzione ragionata ma una serie di postulati reperibili in qualunque discussione da ascensore o da osteria in tarda serata.
Le prime sono le benvenute (ferme restando le regole del forum), le seconde sono malamente tollerate.
Se non avete la voglia di fare lo sforzo di proporre una discussione con argomenti da voi partoriti, ragionati e suscettibili di confronto, che vadano più in là dei luoghi comuni, fate a meno di scrivere: risparmiate tempo a voi e a chi frequenta queste pagine.
view post Posted: 8/3/2018, 13:18 i nazionalismi europei - Politicamente scorretto
Ragazzi, però basta eh.
Avete ben chiarito il vostro pensiero e la vostra posizione, ma non è questo il posto per diventare martellanti con post dai contenuti ripetitivi (tanto che non vi si legge più), specie se i contenuti diventano da bar.
Non dovete convincere nessuno, quindi una volta espressa la vostra idea accettate quelle altrui e lasciate spazio se non avete nulla da aggiungere a quanto già avete detto.
view post Posted: 7/3/2018, 11:47 i nazionalismi europei - Politicamente scorretto
CITAZIONE
ma esistono ancora

e per come le vedi tu rappresentano una percentuale irrilevante, lo dicono i numeri che sono usciti dalle elezioni, non lo dico io.
Credere di poter schematizzare le dinamiche dei rapporti sociali (parlo di ambito politico) nei due comparti di destra e sinistra è un’anacronismo storico: cosa (o meglio “chi”) rappresentano sinistra e destra oggi? Dove vedi questa opposta visione di “tutele sociali”?
Oggi le fasce deboli si sentono tutelate da chi difende i valori nazionali (Lega e M5S), e tradite da chi è più orientato verso l’Europa (PD).
Un ribaltamento che per chi è ancorato alla sinistra (e destra) storica ancora non comprende. Il mondo del lavoro è profondamente cambiato, la società in cui viviamo anche: non possiamo tutelare tutto e tutti come vorrebbe una certa sinistra, occorre fare delle scelte perché le risorse sono scarse. Piaccia o meno, questi sono i fatti che sono stati compresi dagli elettori.
Non giudico che sia un bene od un male, come già detto non riesco ad avere una posizione decisa in questo momento, ma comprendo che da anni gli equilibri sono mutati ed occorre una nuova gestione della società abbandonando il concetto di destra e sinistra così come ce lo ha consegnato la storia.
view post Posted: 7/3/2018, 08:50 i nazionalismi europei - Politicamente scorretto
CITAZIONE
Dipingere la Germania come un novello Polifemo voglioso solo di mangiare metaforicamente gli altri paesi europei è un falso.

Non è un falso Claudio, forse non segui abbastanza la politica economica attuale.
Dalla violenta speculazione sui titoli di stato italiani di qualche anno fa (che fece cadere Berlusconi) alle fallimentari politiche di austerity di Monti & co la Germania si è sempre eretta in cattedra a bacchettare e pontificare, ed invece di sostenere una politica di investimenti per la ripresa economica (quindi di indebitamento, come avvenuto con successo negli Usa) si impegnava a castigare chi sforasse il rapporto debito/pil. Gioco facile per la stessa Germania in ordine coi conti, ma imposizione deleteria per i paesi meno solidi (Grecia, Italia, Portogallo, Spagna) nel momento in cui avevano più bisogno di flessibilità per uscire dalla crisi.
Draghi con il QE e l’acquisto di titoli di stato ci ha letteralmente salvato, caricando alla Bce il debito italiano che nessuno più voleva. Questo andando contro a muso duro con la Germania che aveva ben altre intenzioni di intervento.
Ora le acque sulle obbligazioni degli stati sovrani si sono calmate, grazie anche ad un’enorme liquidità immessa col QE nel mercato e ad uno scenario economico positivo. Ma stai tranquilllo che appena potranno i tedeschi torneranno a battere il chiodo sui conti pubblici, e ne dovremo rendere conto. Auguriamoci di non essere con l’acqua alla gola e di non avere politici supini.

In merito alla destra e sinistra lo so che ti ho punto sul vivo Clà, ma anche tu sai bene che per me rimangono retaggi di un passato che non appartiene più all’odierno tranne che per meschine figure politiche che sfruttano la dicotomia per tenere in piedi i propri personaggi che altrimenti sarebbero fantocci vuoti.
view post Posted: 6/3/2018, 16:21 i nazionalismi europei - Politicamente scorretto
Bene ricorda Pierpaolo che a breve il mandato di Draghi scadrà, e le possibilità che la guida della Bce vada in mano tedesca sono alte. Per noi sarebbe un grave problema: da tempo la germania si impone in europa con la sua lobby bancaria che ha già seminato disastri in un’ottica di colonialismo finanziario (Grecia in primis, dove guardacaso oggi aziende tedesche stanno acquistando i porti commerciali a prezzi di saldo).
Il voto di domenica è stato anzitutto antieuropeo: l’europa così come è adesso fa paura ai paesi più deboli, perché non è più un’unione per ridistribuire benessere ma per incrementare il potere di chi è già forte.
Se si smettesse di guardare ad un palmo di naso, con le solite divisioni anacronistiche di destra e sinistra (che esistono solo per i nostalgici), forse si capirebbe che il problema è quello già scaturito e discusso in altri post: la politica è in mano alla finanza. E questo è fortemente marcato in ambito europeo, dove le lobbies finanziarie da tempo dettano legge.
Questo fa giustamente paura, e la risposta dell’elettorato è quella che conosciamo.
view post Posted: 6/3/2018, 11:00 i nazionalismi europei - Politicamente scorretto
Ho visto con grande piacere il voto del Sud, dove il M5S ha raccolto grandi consensi: ferme restando le mie perplessità sulla capacità dei grillini di governare, la forte voglia di ripulire quella parte di politica più inpaludata con le mafie è fortemente emersa dalle urne delle regioni meridionali. Speriamo che gli eletti riescano a far fronte alle difficoltà di un territorio così problematico dove fare politica è più pesante che altrove.
view post Posted: 2/3/2018, 08:26 i nazionalismi europei - Politicamente scorretto
Continuo a guardarmi intorno e sono sempre meno convinto.
Sto procedendo per esclusioni, e non è rimasto pressoché nessuno cui dare la mia fiducia (dare un voto significa dare fiducia).
Una esclusione certa è quella sul M5S per i motivi che sono ben descritti qui:

https://www.wittgenstein.it/2018/02/28/mov...-stelle-limiti/
view post Posted: 23/2/2018, 10:31 i nazionalismi europei - Politicamente scorretto
Una lettura non facile (qui la fonte):

Populismo. La fine della destra e della sinistra
di Eduardo Zarelli

Alain de Benoist, uno dei più significativi pensatori contemporanei, si presenta da sé. Lo svolgimento del tema che si è proposto in questa ultima opera (Populismo. La fine della destra e della sinistra, Arianna editrice) è come sempre rigoroso, sistematico e calzante, ben articolando i punti cardinali con cui si pone la descrizione del fenomeno populista. Questa edizione italiana edita da Arianna editrice prende la luce a breve distanza da quella originale francese, ma l’attualità dell’incalzare degli avvenimenti politici internazionali e nazionali non vale la rilevanza di questo testo, che invece si pone in una prospettiva di ben più profonda analisi e di conseguente lungo periodo e mutamento di paradigma che coinvolge il significato stesso del “politico” nella società postmoderna ove i popoli, ormai assuefatti all’idea che, votando partiti del tutto interscambiabili, nulla possa realmente cambiare, disertano le urne, legittimando così il dominio delle élites. In tale orizzonte, qui non solo si descrive in cosa consista la distanza montante tra governanti e governati nella strutturale crisi di rappresentanza, inadeguatezza e corruzione delle classi dirigenti, ma perché avviene nel dissolversi dell’equivoco moderno del rapporto tra liberalismo e democrazia, tra individualismo e partecipazione comunitaria. Non è certo un caso, perciò, che il sistema egemonico dominante, sia della politologia scientifica che dei mezzi di comunicazione, in coerenza con i peggiori dettami del “politicamente corretto”, rifiuti l’oggettivazione del fenomeno e anzi, accodandosi alle pratiche mistificatorie della propaganda, manipoli lo stesso termine “populismo” come sinonimo di una patologia avversa al senso comune e al determinismo storico delle società aperte, una vera e propria ingiuria politica. Il “populista” è quindi naturaliter un reazionario ottuso, provinciale, xenofobo, sessuofobo e razzista, che ci porta, per l’inerzia dell’irrazionalismo delle masse, fuori dall’Europa, dal Mercato, dalla Modernità. La logica conseguenza è che il populismo si basi sulla paura, quando invece è proprio sulla fobia del populismo, quotidianamente inculcata tramite la propaganda ideologica e mediatica, che si fonda l’appello all’opinione pubblica per suscitare la repulsione morale e innalzare il cordone sanitario delegittimante contro il demone di turno: dalla Brexit agli Stati Uniti, dall’Ungheria alla Polonia, dalla Francia all’Italia, ecc.


In una recente intervista concessa al Corriere della Sera, ben dice lo scrittore francese Michel Houellebecq in merito: «Quando sento qualcuno evocare il populismo so che in fondo quella persona è contraria alla democrazia. La parola populismo è stata inventata, o meglio recuperata, perché non era più possibile accusare di fascismo certi partiti, sarebbe stato troppo falso. Allora è stato trovato un nuovo insulto: populista. Sì, penso di essere populista. Voglio che il popolo decida su tutti gli argomenti» (1). La divisione dell’immaginario politico secondo la bipartizione fascisti-antifascisti, come del resto anche la divisione tra una destra e una sinistra, è una preziosa risorsa simbolica per l’assoggettamento dell’opinione pubblica al monoteismo del mercato, invisibile al cospetto del proliferare di tali opposizioni. Ovvero, l’ideologia progressista liberal-liberista egemone si identifica con un’oligarchia connaturata agli automatismi irreversibili del mercato, responsabile solo davanti agli interessi privati che la sostengono, in rotta di collisione con il senso comune e la sovranità popolare, polverizzata nella parodia consumistica come società pulsionale dei diritti individuali e del materialismo pratico nei costumi, il cui ideale è quello di «governare senza il popolo e, in definitiva, contro di esso». Una “lotta di classe” paradossalmente invertita di segno – cioè dell’“alto” contro il “basso” – ma non meno risentita e divisiva degli interessi generali.
Il populismo quindi lo si comprende, ben oltre le sue rappresentazioni, come un momento di transizione epocale che vede finire l’illusione della globalizzazione, ma non il “globalitarismo”, cioè la volontà di imporre, tramite il cosmopolitismo dei comportamenti indotti, il primato mondialista della Forma-Capitale e delle sue tecnocrazie governanti a discapito della sovranità dei Popoli. La rappresentatività procedurale non riesce più a nascondere il tradimento della partecipazione popolare, ponendo fine alla credibilità del discrimine della destra e della sinistra, che in realtà sono oggi combinazioni funzionali all’autoreferenzialità sistemica, non più capaci di elaborazioni ideali per modelli sociali alternativi, tra di loro o magari a quello esistente in sé. Il populismo, in tal senso, è uno stato d’animo diffuso, è appunto una “mentalità”, che ritroviamo sia a destra che a sinistra, anzi magari oltre la destra e la sinistra, proprio perché l’integrità del tutto, rispetto alla strumentalità contrattualistica della frammentazione degli interessi di parte, inconsciamente voca al “bene comune”, nel contrasto tra coloro che approfittano della globalizzazione – siano essi di destra o di sinistra – e coloro che ne sono vittime, tra culture comunitarie e culture liberal.


Che poi realmente i movimenti populistici siano all’altezza di questo frangente critico del moderno, è un altro conto e se ne può legittimamente dubitare; non tanto perché il velleitarismo alla prova del governo reale possa evidenziare un’inadeguatezza alle responsabilità amministrative, quanto perché la dimensione del politico come decisione si confronta con la necessità di rimettere in discussione il paradigma stesso, più che le sue sintomatiche contraddizioni. Vi è comunque da sottolineare come la tesi di una presunta incompetenza dei cittadini all’autogoverno sia emblematicamente antidemocratica, non a caso portata dall’autoreferenzialità tecnocratica assunta dalle classi dirigenti, opportunisticamente insensibili al fatto che è una questione non tanto di efficacia funzionale quanto di giustizia, quindi di mobilità: uguali condizioni di accesso e merito nei ruoli di responsabilità sociale. Questa domanda la si esprime non solo nella direzione della lotta contro le palesi sperequazioni sociali o i privilegi di “casta” e a favore di forme eque di ridistribuzione della ricchezza, ma anche sul terreno del ripristino dei meccanismi della mobilità sociale. È una richiesta, quindi, di riattivazione di quei meccanismi che assicurino a tutti, in maniera equa, le medesime condizioni di partenza e di accesso, per merito, sia ai servizi sociali che al mercato del lavoro e delle professioni. In tal senso, la disaffezione montante nei confronti del proceduralismo democratico riguarda primariamente i politici, più che la politica. I primi sono dei professionisti subalterni alla pratica del potere in luogo del dominio dell’economico, la seconda è impegno disinteressato per la collettività. La differenza sostanziale tra il Politico e la politica sta nel subire o meno la modernità: il Politico decide, la politica esegue, ossia rende esecutive le decisioni del Politico. La democrazia procedurale è solo politica, giacché si adatta all’inerzia degli interessi economico-finanziari. L’argomento weberiano della distinzione tra principi assoluti, che si assume sul piano valoriale senza porsi il problema delle conseguenze che da essi scaturiscono, di contro alla “etica della responsabilità” in cui si bada al rapporto mezzi-fini e alle conseguenze, è parte della razionalizzazione nichilista del paradigma dominante. Non sembri quindi fuori cornice intendere la questione politica nello scenario più onnicomprensivo del mutamento antropologico indotto dal riduzionismo pragmatico.
La tecnica ha varcato il mondo umano? Per la cultura dominante, l’uomo coincide con i suoi strumenti, diviene parte funzionale del meccanismo in essere, quando invece non si deve rinunciare alla distinzione cruciale tra tecnica e tecnologia, e all’approfondimento del senso della dicotomia che ci ha condotti in una situazione inedita per l’umanità. La tecnica è il saper fare con scopo, mentre la tecnologia è un riduzionismo funzionale, una scienza applicata che produce un “impianto” – Gestell, per dirla con Martin Heidegger – il cui fine è quello di fornirci una funzione senza passare attraverso il saper fare. Fingendo di liberarci, ci rende dipendenti da un dispositivo privo di scopi. Paradossalmente, le culture tradizionali avevano competenze tecniche incomparabili, rispetto all’uomo contemporaneo. Carl Schmitt identificò nelle due forme secolarizzate complementari di un pathos – l’uno tecnico, l’altro moralistico – l’elemento basilare di ogni società liberale moderna, vista come l’epoca delle “neutralizzazioni”; epoca, nella quale tutto ciò che è politico si sfalda, di fronte al prevalere di dinamiche fatte di pura concorrenza, disciplinate da automatismi tecnico-commerciali e da meccanismi che non vedono più uomini e comunità, ma un’informe moltitudine senza volto di venditori e consumatori alienati. Questa neutralizzazione – avverte Alain de Benoist – equivale a una spoliticizzazione e, in prospettiva, alla morte del politico, ma «poiché le aspirazioni umane sono differenti e potenzialmente conflittuali, si può infatti decidere tra esse solo in nome di criteri normativi che non si riducono mai all’unità». La deliberazione politica consiste nel decidere tra “scelte possibili”, nessuna delle quali si impone uniformemente. In controtendenza, alla deriva totalitaria della riduzione al “medesimo”, è quindi necessario un ritorno al saper fare, all’incontro con la realtà e con l’ordine naturale delle cose. Il ritorno della politica, cioè, non passa dai politici, ma dal senso di appartenenza comunitaria della popolazione alla propria necessità sociale e al proprio destino culturale. Solo la partecipazione e la motivazione potranno ricostituire una carica ideale, una visione del mondo che si faccia responsabilità e spirito di servizio per la collettività, di contro all’individualismo e il disincanto dominanti.
Le oligarchie sono affette da un interessato autismo cognitivo. Rassicurate dai meccanismi di cooptazione del consenso come seduzione pubblicitaria nelle forme di puro intrattenimento della società dello spettacolo, a scapito della partecipazione, non si rendono conto di trovarsi sull’orlo del precipizio. È la tipica sindrome da autoreferenzialità del Potere, che perde il contatto con la realtà conducendo a rotture traumatiche dell’ordine sociale e politico. Platone, d’altronde, già 2400 anni fa, scriveva nel libro VIII de La Repubblica: «Ecco, secondo me, come e donde nascono le tirannidi. Esse hanno due madri. Una è l’oligarchia quando, per le sue lotte interne, degenera in satrapia. L’altra è la democrazia quando, per sete di libertà e per inettitudine dei suoi capi, precipita nella corruzione e nella paralisi. Allora la gente si separa da coloro cui dà la colpa di averla condotta a tanto disastro e si prepara a rinnegarla prima con i sarcasmi, poi con la violenza, che della tirannide è pronuba e levatrice».


È la malattia che origina e giustifica il suo espandersi: il fallimento delle democrazie liberali, la sovranità usurpata dalle oligarchie, nel disagio sociale e civile di una modernità occidentale, che anche nella soddisfazione dei bisogni non può più garantire i servizi sociali, nell’artificio dei consumi su cui si fonda. Negli anni Ottanta, Peter Glotz parlò di una società dei due terzi, per celebrare le socialdemocrazie, in cui in realtà la maggioranza degli abbienti, raggiunto il benessere, abbandonava gli altri al loro destino “social-liberale”. La realtà dell’implosione della globalizzazione cui stiamo assistendo sta ribaltando quelle proporzioni, con diseguaglianze crescenti, disintegrazione dei diritti sociali e il concentrarsi della ricchezza nelle mani di una quota sempre più ristretta di privilegiati (un 10% della popolazione, che possiede dal 50 all’85% della ricchezza globale), nel declassamento generalizzato dei ceti medi e nella pauperizzazione di quelli popolari. Il modo di produzione industriale non può crescere all’infinito, perché il mondo – per quanto illusoriamente lo si “delocalizzi” – è una cosa finita. All’acme della saturazione, il meccanismo si spezza ingenerando un conflitto per l’egemonia mondiale delle risorse – in una crisi di cui tutti si attendono la fine, ma che non può terminare perché strutturale alla Forma-Capitale – che può essere risolto solo con un superamento extraeconomico, che sia in grado di determinare un mutamento di paradigma, e quindi di riferimenti etici, e la conseguente integrazione sociale.
Il populismo crescerà fino a quando non si trasmuterà in modo politicamente decisivo, oltre il meridiano zero del nichilismo e il disfacimento del post-moderno, dell’odio di sé, in forza della dignità personale, della “vita buona”, della giustizia, della virtù «intera e perfetta» – per dirla con le parole di Aristotele – perché chi la possiede è esempio anche per gli altri, dell’appartenenza comunitaria quindi, perché «l’uomo scopre i suoi fini più di quanto non li scelga» e la forma in cui li manifesta è indissolubile da «appartenenze e vincoli con l’altro che lo costituiscono». Anche se in contrasto e opposizione dialettica, nessuno – checché ne pensino i liberali – si dà fuori dalla storia e dall’identità cui appartiene. Vi è, in tal senso, una citazione fondamentale di Carl Schmitt, colta da Alain de Benoist per fare comprendere l’architrave dell’intero suo ragionamento come scarto incolmabile tra il liberalismo e la partecipazione comunitaria: «La nozione essenziale della democrazia è il popolo, e non l’umanità. Se la democrazia deve restare una forma politica, ci sono solo democrazie del popolo e non una democrazia dell’umanità» (2).
La storia resta aperta, in un contesto geopolitico dove viene meno l’unilateralismo universalistico si apre l’opportunità di un multipolarismo internazionale. L’Europa è di fronte al suo declino atlantico nell’assecondare una subalternità al declinante modello americano, oppure nel cercare un’originale comunità di destino continentale, superando nazionalismi e cosmopolitismo, in una rinnovata concezione dell’Imperium come dominio interiore, inteso cioè come grande spazio, giacché la sovranità si configura in primo luogo come difesa del bene comune, la reciprocità dei legami comunitari e la sussidiarietà delle sfere decisionali. L’auctoritas è il principio che consente di distinguere tra la legittimità e la mera legalità del potere, subordinando la forza al diritto, inteso non in modo formale e procedurale, ma numinoso, ossia in grado di far riverberare su di sé in modo conforme la coscienza collettiva. Ponendo nella forma del limite la potenza: la civiltà contro la barbarie.
view post Posted: 23/1/2018, 15:46 Indicatore livello carburante - Guasti e Problemi
Non so dove sia il galleggiante, ma non credo occorra smontare il serbatoio. Più probabilmente è accessibile dall'abitacolo sollevando i sedili posteriori ed il rivestimento, cosa che potresti fare anche tu.
view post Posted: 23/1/2018, 15:44 ragazzi help - Nuovi iscritti e utenti
Non è buona cosa dare il proprio numero a sconosciuti, men che meno renderlo pubblico su internet.
Se hai bisogno di discutere c'è il forum che già stai usando, proponi l'argomento e vedremo se qualcuno potrà aiutarti
view post Posted: 17/1/2018, 13:15 Rotatorie: come si usano - Leggi e Regolamenti
Le rotatorie se correttamente progettate diminuiscono considerevolmente la gravità degli incidenti rispetto ad un incrocio tradizionale a raso, in quanto tutti i veicoli debbono necessariamente moderare la velocità per immettersi.
Purtroppo in Italia sono numerose le rotonde fatte “ad minchiam”, dove la rotatoria centrale è di dimensioni talmente esigue da non costringere a rallentare lasciando che i veicoli vi entrino a velocità sostenute. Altri aborti progettuali riguardano le immissioni malamente canalizzate e le rotonde enormi senza corsie definite dove ognuno si muove a piacere.
L’incompetenza dei progettisti stradali del nostro bel paese tocca i suoi apici nella realizzazione delle rotonde, che unita alla maleducazione dei guidatori rende le rotatorie meno sicure di quanto potrebbero essere.
Rimangono preferibili a semafori o stop, ma occorrerebbe una più attenta progettazione ed un uso più consapevole.
3932 replies since 11/11/2009