| Sopratutto in passato, ho lavorato spesso all'estero, anche per periodi piuttosto lunghi, ora mi limito alle trasferte di qualche giorno o al più di un paio di settimane, ma sempre tornare a casa è stata fonte di un sereno piacere. Immagino che emigrare non sia un'esperienza così esaltante, a meno che non sussistano tutta una serie di condizioni particolari. E' vero che in certi paesi si percepisce un clima lavorativo migliore (ad esempio in Germania non si lavora a ritmi stressanti come in Italia), ma non necessariamente questo si traduce in assoluta migliore qualità della vita. I fattori che contribuiscono alla percezione dello stato di benessere globale sono molteplici e legati a sensibilità individuali per essere generalizzati. Ad esempio, come discutevamo in un altro thread, a mio giudizio la Cina, almeno quella pochissima parte che conosco io, è un posto in cui non vivrei per tutto l'oro del mondo, un posto dove un "paese" è affollato da due milioni di abitanti nei giorni lavorativi e diventa un angosciante scenario da guerra post-atomica nei giorni festivi, un posto dove il senso dell'ospitalità è nullo e l'indifferenza regna su tutto e tutti. Certo la nostra povera Italia è piuttosto malconcia, ma credo che oggi, più che mai, urga il coraggio di compiere, ancor prima delle manovre economiche, una grande operazione di recupero delle nostre tradizioni culturali. Ci siamo impoveriti perché stiamo perdendo la nostra identità, che non significa certo patria e bandiera, anzi su quello non siamo stati mai molto forti, ma quella nostra innata capacità di rivelare il bello al mondo, di saperlo plasmare e di adattarlo alle forme del progresso. Questa è la nostra arma vincente, quella che ci potrebbe rendere primi tra i primi.
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