Siete partiti forte. Appena troverò il tempo ascolterò molto volentieri il pezzo di SuzuRock, non voglio farlo distrattamente, visto che chiede un parere. Per il momento vi vorrei portare molto indietro nel tempo per riascoltare quello che secondo me, e non solo, è uno dei gruppi fondanti del rock moderno. Vi lascio con un pezzo molto noto, anche perché in Italia fu tradotto da Mogol per i Dik Dik, che costituì l'esordi per questo grande gruppo che ha disseminato di perle rare il panorama rock. L'organo Hammond, vera icona di quegli anni, la fa da padrone.
Per non inventarsi l'acqua calda riporto la spiegazione di questo classico da Wikipedia:
La nascita dei Procol Harum: A Whiter Shade of Pale
All'inizio del 1967 Brooker incontra il paroliere Keith Reid (che diventerà l'autore di tutti i testi del gruppo e considerato sesto membro effettivo della band, al punto da essere inserito nella formazione del gruppo nelle copertine degli LP), che scrive il testo per una melodia composta dal tastierista: l'idea di Brooker nell'arrangiamento della canzone è quella di inserire un'introduzione strumentale (ripresa poi tra una strofa e l'altra) ottenuta sovrapponendo il basso del secondo movimento della Suite per orchestra n. 3 di Johann Sebastian Bach BWV 1068 (conosciuta anche come aria sulla quarta corda) con una melodia presa da un'altra opera del compositore tedesco (BWV 645, il Corale in Mi bemolle maggiore Wachet auf, ruft uns die Stimme[4]).
Il tutto viene suonato dall'organo Hammond abbinato al Leslie: ottenuto tramite il produttore Denny Cordell un contratto con una piccola casa discografica, la Regal Zonophone Records (distribuita dalla Decca Records[5]), e scelto il nome di Procol Harum (che deriva da una storpiatura del nome del gatto di un amico di Cordell, "Procul Harum", che peraltro in latino significa qualcosa come "lontano da queste"), il tastierista registra la canzone con alcuni session-man (alcuni contattati tramite un annuncio su una rivista musicale britannica), tra cui l'organista Matthew Fisher, ed in pochi giorni il disco arriva in testa alle classifiche britanniche (negli Stati Uniti raggiunge il quinto posto).
La versione originale della canzone presenta due strofe in più, tagliate durante la registrazione per contenere la durata del brano entro i quattro minuti (durata media del lato di un 45 giri), ma recuperate da Brooker durante le esibizioni dal vivo. Sin dalle prime apparizioni alla batteria vi è Bobby Harrison, che non è il batterista che ha suonato durante la registrazione della canzone: costui, Bill Eyden, è un batterista jazz che era stato chiamato appositamente da Denny Cordell per la registrazione e che continuerà in seguito la sua attività di jazzista (nella versione stereo della canzone pubblicata solo nel 1997 in un'antologia viene recuperata una registrazione dove invece, alla batteria, vi è Harrison).
In Italia uno dei primi ad ascoltare il brano è Mogol, che all'epoca lavora presso la Dischi Ricordi e che scrive un testo in italiano (completamente diverso dall'originale di Reid) per i Dik Dik con il titolo Senza luce: il disco viene pubblicato il 20 agosto e va subito al primo posto in classifica, restando complessivamente in hit parade per diciassette settimane[6].
Anche la versione originale dei Procol Harum (in Italia pubblicata dopo quella dei Dik Dik) raggiungerà il primo posto nella classifica italiana (rimanendovi dal 18 ottobre al 6 dicembre), restando complessivamente ventun settimane in hit parade, caso quasi unico per una canzone di cui era già uscita la cover.
Le vendite in Italia saranno così elevate che Gary Brooker invierà una lettera ai Dik Dik ringraziandoli per le royalties che gli arrivavano come diritti d'autore dalla Siae
Che bello questo post!!! Sono chitarrista elettrico da molto tempo ormai e avevo annusato l'aria superrock del forum sono felicissimo!!! Se vi fa piacere vi metto un link dove potete ascoltare alcuni pezzi di un nostro CD!!!
Ho ascoltato più volte il pezzo. Mi chiedi un giudizio obiettivo e quindi sarò spietato!
Il brano è gradevole, ma ha il sapore del già sentito, l'effetto è quello della solita minestra, per quanto questa possa essere gradita. Ottima l'esecuzione vocale, la voce è gradevole e la cantante non tenta sortite di dubbio effetto, lasciandosi trasportare dalla base, ma sapendo fornire il proprio apporto in modo equilibrato e determinante. Buone le chitarre, anche se il fonico ha asciugato un po' troppo il suono degli arpeggi. Le noti dolenti, secondo me, riguardano la sezione ritmica (spero non sia tu il batterista, altrimenti non me ne volere). Purtroppo la batteria esegue il suo compitino, esattamente come farebbe un generatore di ritmi. Non c'è uno spunto, nulla che possa attirare l'attenzione che possa creare un sussulto e tende ad appiattire un brano che, come dicevo, finisce per avere il sapore del già sentito. Non dico di imitare Portnoy, ma un minimo di fantasia in più non ci sarebbe stata male.
Detto questo, il brano l'ho ascoltato volentieri e sono sicuro potrà comunque piacere a molti amici del forum.
P.S. Per quel che possono valere le etichette, il brano non mi pare avere nulla delle sonorità progressive
Il primo album dei Dire Straits a mio giudizio è il loro migliore esercizio poi li ho iniziati a trovare un po' stucchevoli (con le dovute eccezioni per i singoli brani), senza nulla togliere alle superbe doti chitarristiche di Mark Knopfler e per il suo stile inconfondibile che è un marchio di fabbrica.
I Red Hot Chili Peppers invece non mi hanno mai saputo coinvolgere emotivamente, roba che ascolto distrattamente come sottofondo.
Finalmente sono riuscito ad ascoltare il brano (anzi...i brani) Senza andare sul tecnico (anche perchè non ne sarei in grado ) trovo i pezzi piacevoli e, sarà magari per la voce femminile, mi ricordano un po' i Cranberries. Mi sembra ottima la registrazione con un suono estremamente pulito. In definitiva...un buon lavoro.
Sciagurato accademico! Son cresciuto con i Dire Straits e la Stratocaster di Knopfler I Red Hot li ascolto a piccole dosi, e spesso trasmettono ottime vibrazioni. Così come ho apprezzato il brano di Suzurock. Non essendo un ingegnere del settore ma un semplice utente finale, tanto mi basta per giudicare positivamente un brano.
E tanto deve bastare. La musica, come ogni forma d'arte, deve trasmettere emozioni. A mio giudizio, cosa che farà rabbrividire ode di critici musicali, se un brano piace tanto basta per giudicarlo riuscito, purché superi la prova del tempo. Tanto per capirci, ho letto da qualche parte che il pulcino pio è stato il brano più ascoltato della scorsa estate, non credo però che riproposto avrebbe lo stesso successo, cioè non supera la prova del tempo.
Personalmente quando uscì il primo album omonimo dei Dire Straits gridai al miracolo, per quei suoni così inaspettati e nuovi. Quel long playing (allora il vinile era il supporto musicale per eccellenza) ha girato per ore sul mio piatto e non mi stancavo mai di ascoltarlo. Poi uscì Communiqué su cui stendo un velo pietoso. Attesi il successivo lavoro e quando uscì Making Movies, disco che ebbe un successo decisamente maggiore del primo, anzi fu quello che fece conoscere il gruppo ai più, corsi a comperarlo e ne rimasi deluso perché quei suoni avevano già perso la freschezza e l'immediatezza del primo lavoro, erano più cerebrali, molto meno rock. Ho comperato tutti gli album dei Dire Straits sperando sempre di ritrovare quella primordiale scintilla, ma questo non si è più verificato.
Quoto! La musica appunto deve trasmettere emozioni!!!Io pur non essendo dell'era Dire straits Quando li ascoltai per la prima volta ne rimasi subito affascinato e colpito e da allora non mi stanco mai di ascoltarli come anche altri generi piu o meno datati... I R.H.C.P ,secondo me, sono un gruppo che separano le masse o piacciono molto o lasciano indifferenti!! Vi propongo questo brano.. un rock molto soft Video oppure preferite questo Video
Parlando dei Dire, Telegraph Road o Brothers in Arms (per non tirar fuori altre chicche misconosciute) trovo siano brani da ascoltare almeno una volta nella vita. I Pink Floyd... diamine, si apre un universo... Division Bell è quello che ascolto senza mai annoiarmi, ma qualcuno obbietterà essere quello più commerciale
Beh, non pensate che sia ora di guardare anche a qualcosa di più recente?
Vi segnalo l'ultimo CD degli It Bites che dopo la ritrovata unione di quattro anni fa, nel 2012 dopo diciotto anni di silenzio sono usciti con un album abbastanza convincente. Ovviamente tanti anni non sono passati invano e i suoni sono cambiati probabilmente grazie all'arrivo di John Mitchell, una delle figure più interessanti del prog inglese odierno. Con "Map of the Past" si ritorna al concept album il cui file rouge sono delle vecchie foto di famiglia ritrovate dal protagonista con cui si ripercorrerà musicalmente la storia più recente della Gran Bretagna. Un album riflessivo, per nulla epico, misurato e per questo, a mio giudizio, interessante. Sarebbe stato facile scivolare nel già sentito, e invece... La chitarra appassionata di Mitchell accompagna il percorso musicale tra arpeggi e soli gradevoli.